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Itinerario gastronomico siciliano: la cucina in Sicilia attraverso i secoli
La Sicilia, la culla del Mediterraneo, vanta anche in campo gastronomico una grande tradizione che porta i segni delle dominazioni che si sono succedute attraverso i secoli. Infatti le ricette siciliane sono il frutto di esperienze millenarie, condite con molte spezie e molta fantasia e rievocano al palato sapori greci, romani, arabi, normanni, angioini ed altri. E’, alle notizie di Archéstrato di Gela e di Apicio, famoso gourmet romano ( fu il primo a scrivere un libro di cucina, il De re coquinaria (le cose di cucina), che siamo nel primo secolo dopo Cristo, che risaliamo alla salatura delle acciughe, alla mattanza del tonno, alla pressatura e salatura delle uova dello stesso pesce. Le erbe aromatiche della macchia mediterranea che ancora oggi crescono nelle nostre zone, specie nelle riserve naturali protette, sono condimenti indispensabili per la cottura delle carni rosse, per il pesce arrosto e per la selvaggina tipica della Sicilia: quaglie, tordi, fagiani, folaghe, pernici, maiale selvatico e cinghiale. La Sicilia era per i romani una grande riserva di caccia. Le carni cotte con questi aromi costituivano la base della loro cucina. Le usavano per marinare e fare frollare (rendere morbida). I sapori forti come la nepetella, la mentuccia selvatica, il timo, invitavano a bere vini altrettanto forti, come gradazione alcolica elevata. Il miele e il miele di fichi erano molto usati nella cucina romana, come pure le erbe spontanee come le cime di rovi (asparagi) e quelle del pungitopo. Essi erano anche esperti nella conservazione dei cibi in salamoia e nel mosto. Le ricette anche a quell’epoca erano raffinate; si ha notizie di uova finemente tritate che fanno corona alle acciughe su “letto” di foglie di ruta (rucola selvaggia), buono come antipasto. E poi carne di capretto, braciole di maiale, fave e cavolini novelli, pollo, prosciutto, ecc. Coloro che influenzeranno maggiormente la cucina siciliana sono gli arabi (IX sec.); giungono nell’isola, portano alimenti fondamentali come il riso, gli agrumi, la canna da zucchero. Trionfano le droghe come lo zafferano, i chiodi di garofano, la cannella. Introducono frutti come la pesca, l’albicocca, il pistacchio, il carrubbo e perfino il gelsomino usato anche in gastronomia; ancora oggi si ricava un delicatissimo gelato, la famosa scursunera. Un piatto famoso che ci viene tramandato è il cous-cous, tipico del trapanese. E’ però nella pasticceria che gli arabi esercitano maggiore influenza usando 4 elementi essenziali: mandorla, pistacchio, miele e ricotta. Con loro si impone la cassata, da quasat, geli di agrumi e di cannella, di anguria con infuso di fiori di gelsomino tipico siciliano, i sorbetti che aprono la strada ai nostri moderni gelati. I normanni non lasciano un grande contributo alla gastronomia, tranne quello di avere introdotto lo stoccafisso, piatto caratteristico messinese. Gli angioini introdussero il rollè di carne, brioches, sformati o gateaux. Gli spagnoli invece ci portano i piatti al salmoriglio le impanatigghie, da impanatiglios, le decorazioni barocche. ma sulla cucina siciliana influirono in modo determinante i borboni che diedero un valido influsso dal 1800 in poi con la cucina baronale ed i suoi munsù da monsieur e dall’altra parte con la cucina popolare contadina. A questo periodo facciamo risalire la cucina raffinata del Gattopardo : i sartù di riso (timballo), i purè ( poures), i cotumè, gli sformati dolci e salati, le querelle, il saint-honorès, i profitteroles, i babà , ecc La cucina popolare esplode con le feste più importanti dove l’immaginazione e la tecnica fanno da padroni. Il pane, ad esempio, legato al mito della dea Cerere, celebrata nella metamorfosi di Ovidio, diventa arte nel trapanese e si trasforma in cuddura cu l’ovu per la Santa Pasqua e nei biscotti e dolci legati al pane. Ancora oggi molte sono le località in Sicilia dove si celebra la festa del pane (Raddusa) con solennità e folclore in memoria di miti antichi che si perdono nella notte dei tempi. Per la festa di S.Lucia, 13 dicembre, è ancora tradizione cucinare la cuccìa, mentre per S.Giuseppe, 19 marzo, crispelle, sfinci o zeppole come di tradizione. La solennità del 2 novembre, i morti, viene celebrata con una dovizia di specialità quasi a simboleggiare un dolce compenso per il dolore della mancanza dei cari defunti. Rame, ossa dei morti, ‘nzuddi, nucatoli, mustacciuli, buccellati, panpepato ecc, sono consumati in tutta l’isola anche se, nella preparazione dei dolci, tra una provincia e un’altra si notano delle piccole differenze. Tutte queste bontà vengono accompagnate e a vini liquorosi come: lo zibibbo, il passito e di epoche più recenti il limoncello, il mandarinetto, il nocino, il marsala. La cucina conventuale in Sicilia, apre un filone molto apprezzato specie ai nostri giorni. I piatti piccanti con verdure selvatiche, i piatti di legumi conditi con solo olio di oliva e verdure, l’insalata di agrumi, la frutta secca mangiata col pane di segale, nero. Una vera chicca è il cous-cous dolce, specialità di Agrigento, secondo l’antichissima ricetta tenuta segreta dalle suore del Monastero di Santo Spirito. Tutto ciò si rifà alla dieta mediterranea, i dominatori hanno lasciato povertà che diventa gran pregio nella gastronomia isolana; anche il nostro vino dell’etna, conosciuto anche da Plinio il Vecchio, occupa un posto in primo piano nell’itinerario eno-gastronomico nazionale. |